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GLI INVENTORI DEL NOIR: CHARLES DICKENS

In books, Charles Dickens on giugno 6, 2008 at 18:15

Le 700 dense pagine dell’Oxford Reader’s Companion to Dickens, uscito nel 1999 e purtroppo fuori catalogo, costituiscono un autentico pozzo di informazioni e curiosità sulla incredibile carriera letteraria di uno dei massimi scrittori d’ogni tempo, Charles Dickens (1812-1870).

Il libro, scritto da un vero e proprio esercito di autorità in materia, e compilato da uno specialista come Paul Schlicke, era stato pubblicato dalla Oxford University Press in una prestigiosissima collana che comprendeva titoli analoghi dedicati per esempio a Thomas Hardy e a Joseph Conrad, ed è una mostruosa messe di notizie su vita, opere, amici, conoscenti, amanti, personaggi e quant’altro sia possibile desiderare, che hanno popolato l’immaginazione e la realtà dello scrittore inglese. L’opera di Dickens è talmente vasta, e i suoi romanzi così complessi e fluviali, che una simile guida, oltre a fornire allo studioso e al semplice lettore elementi difficilmente rintracciabili altrove, consente la costruzione di percorsi tematici di lettura, utili per poter iniziare a scalfire la superficie dell’estrema complessità di un autore troppe volte valutato soltanto per il grado più elementare di fruizione dei suoi libri.

Perché, a ogni modo, parlo di questo volume in un blog dedicato in prevalenza alla letteratura poliziesca? Perché una delle voci più curiose ed affascinanti di questo volume è un capitolo dal titolo «Detective Fiction», in cui David Paroissien esamina questo aspetto dell’opera dickensiana, che potrà semprare insolito ad alcuni, ma affatto marginale e anzi foriero di imprevedibili sviluppi.

L’uso e lo sviluppo di tematiche di mistero, spesso da vera e propria detective story, non sono un caso nell’opera di Dickens. Uno dei suoi grandi capolavori, Bleak House (Casa desolata, 1852), ha alla sua radice un autentico mistero poliziesco, per risolvere il quale, nel capitolo 22, entra in scena l’ispettore Bucket, «robusto, dallo sguardo intento e dalla vista acuta». L’apparizione di un tale personaggio segna un punto di rottura all’epoca inimmaginabile per la letteratura inglese: un funzionario di polizia chiamato a risolvere un autentico mistero, un caso di omicidio la cui soluzione è portata avanti da Bucket con brillantezza e logica degne di investigatori ben più famosi. L’ispettore Bucket precede di ben sedici anni il ben più celebre sergente Cuff, che è comunemente considerato il primo vero detective professionista della letteratura inglese, e che com’è noto appare in The Moonstone (La pietra di luna, 1868), di Wilkie Collins.

Dickens, in realtà, aveva già inserito in alcuni dei suoi romanzi dei funzionari di polizia, come i poliziotti Blathers e Duff, due autentici incapaci che compaiono in Oliver Twist e sono oggetto di pesante scherno da parte dello scrittore, o addirittura un investigatore privato, lo stravagante Nadgett, che in Martin Chuzzlewit (1844) viene assunto da un fraudolento assicuratore per scoprire informazioni riservate sui propri clienti. Anche negli ultimi romanzi dello scrittore compaiono spesso figure di poliziotti, giustificate dal sempre maggiore spazio lasciato a misteri da risolvere, come il funzionario che, in Our Mutual Friend, è a guardia della piccola stazioncina di polizia nella quale viene portato il cadavere di John Harmon, o Dick Datchery (un nome quasi da hard boiled…), il misterioso investigatore (se poi lo è veramente) che troviamo in The Mystery of Edwin Drood (1869-70), l’ancora più misterioso romanzo incompiuto di Dickens.

Apprendiamo anche che Dickens era particolarmente interessato alle figure dei veri poliziotti, ed era diventato molto amico di Charles Frederick Field, un ben noto detective dell’epoca, le cui imprese venivano regolarmente immortalate dallo scrittore in una lunga serie di articoli di true crime fiction scritti per il periodico Household Worlds (e se tutto questo vi può ricordare una sorta di Lucarelli dell’800, probabilmente avete ragione), con titoli come On Duty with Inspector Field o A Detective Police Party.

Giustamente il volume della Oxford ci ricorda che, in realtà, Dickens non ha mai scritto romanzi polizieschi nel senso più consueto del termine (ovvero gialli di stampo classico), né romanzi di carattere Police procedural (alla McBain, per intendersi). Dickens era, invece, decisamente interessato ai procedimenti mentali del criminale, prefigurando autori come Patricia Highsmith o Ruth Rendell.

Il capitolo si conclude infatti sostenendo che «una sempre maggior parte della critica contemporanea si interessa della detective fiction dal punto di vista narratologico e teoretico. Secondo questa scuola di pensiero, la detective fiction può essere meglio compresa in termini di strategie narrative; in particolare una detective story contiene due linee di narrazione, una di superficie, che tratta di investigazione, e una nascosta, sepolta, che l’investigazione cerca di portare alla luce.
Gli ultimi romanzi di Dickens traggono gran parte della loro forza dalla tensione che si crea tra la narrativa di superficie e quella nascosta, e dagli sforzi fatti dai personaggi per farle riemergere».

Peccato che questo volume non sia mai stato tradotto in italiano.

LC