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IL LUNGO ADDIO DI ROSS MACDONALD

In books, Ross Macdonald on giugno 3, 2008 at 19:50

The Blue Hammer, 1976, è l’ultimo lavoro di uno dei maggiori autori dell’hard boiled, Ross Macdonald (pseudonimo, come ognun sa, di Kenneth Millar): suo ventiquattresimo romanzo, e diciottesimo con Lew Archer.

Nel corso del 1975 Millar aveva lavorato con fatica a quello che doveva essere il suo romanzo più lungo e, già nelle sue intenzioni di partenza, rappresentare il congedo dalla narrativa, da lui deciso per dedicarsi alla stesura dell’autobiografia. Ma arrivare in fondo al libro fu una fatica smisurata, per Millar, che già iniziava ad avvertire i segni dell’Alzheimer che lo avrebbe distrutto nel corpo e nella mente.

The Blue Hammer, secondo le intenzioni dell’autore, doveva segnare un profondo cambiamento nel suo registro espressivo: «più morbido, più gentile, più tollerante», per usare le sue stesse parole. Ma per Bob Easton, amico di lunga data di Millar e di solito «lettore cavia» dei suoi manoscritti, nel libro si avvertiva «Un calo di tensione, un allentamento della consueta stretta… Ci sono rimasto anche un po’ male, perché mi pareva di vederci una serie di errori e inesattezze veramente inconsueti».

Easton, quindi, suggerì all’amico una lista di possibili cambiamenti e correzioni: e Millar, mai così disponibile, li accolse tutti. Ma il suo stato emozionale non era quello giusto: all’ultimo momento, il giorno prima della partenza, annullò un soggiorno inglese di tre settimane per un convegno di scrittori di gialli. Infine, tra molte altre indecisioni, consegnò il manoscritto all’editore Knopf nel novembre 1975.

Già il primo annuncio pubblicitario dell’editore suscitò l’ira dell’altro celebre MacDonald, ovvero John D. (autore della serie di Travis McGee), che anche negli anni ’50 aveva avuto una lunga diatriba con Millar a proposito dell’adozione, da parte di quest’ultimo, dello pseudonimo «John Ross Macdonald». Questa volta John D. ebbe a lamentarsi per l’uso di un colore nel titolo, che a suo avviso, si ispirava troppo alla serie di McGee, caratterizzata anch’essa dalla presenza ricorrente di un titolo «colorato».

In seguito, Millar si scoprì incapace di dedicarsi alla lettura delle bozze, spossato dalla fatica; fu così che fece ricorso all’aiuto dell’amico scrittore William Campbell Gault, autore ben noto anche da noi, che si assunse l’arduo compito e – pare – apportò notevoli modifiche al testo originale, con l’assenso di Millar. The Blue Hammer è dedicato proprio a Gault, che forse avrebbe dovuto figurare come co-autore: ed è un peccato che la dedica sia stata eliminata dalle edizioni italiane (che ormai, comunque, risalgono alla notte dei tempi).

Il romanzo risultò essere il più recensito nell’ormai lunga carriera di Millar, e questo grazie all’attenzione suscitata negli anni passati dall’intervento di autentiche autorità della letteratura americana come Eudora Welty. Le recensioni furono quasi tutte assai favorevoli, e alcune – come quella di Frank McShane, biografo ufficiale di Raymond Chandler – paragonarono il libro a capolavori riconosciuti come The Good Soldier di Ford Madox Ford. Addirittura Julian Symons, uno dei maggiori studiosi del poliziesco ed eccellente romanziere in proprio, si spinse a dichiarare che «Il romanzo è il migliore tra gli ultimi di Macdonald, e va considerato tra i suoi migliori in assoluto», mentre H.R.F.Keating, lo scrittore inglese autore del celebre volume Crime & Mystery: the 100 Best Books, decise di includere The Blue Hammer all’interno della sua lista.

La rivista Rolling Stone, una delle più lette negli USA, e indirizzata essenzialmente al vasto pubblico del rock, pubblicò una lunga intervista con Millar nella quale lo scrittore, estremamente teso, si lanciò in una violenta invettiva contro Raymond Chandler, che negli anni ’50 aveva lanciato una astiosa campagna di stampa contro Macdonald, scrivendo contro di lui una serie di lettere estremamente negative.

L’intervista con Rolling Stone servì comunque a Millar per instaurare una strettissima amicizia con il celebre cantante e compositore Warren Zevon, che da anni era un grande appassionato del lavoro di Macdonald (e Zevon, notevole esempio di intellettuale prestato al rock e scomparso fin troppo giovane nel 2003, ha negli ultimi anni lavorato spesso con un altro noto scrittore come il feroce Carl Hiaasen, col quale ha anche scritto diverse canzoni oltre a fungere da consulente per il romanzo Basket Case). Zevon ha sempre dichiarato di identificarsi totalmente con il ragazzo che appare in uno dei più bei romanzi a firma Macdonald, The Zebra-Striped Hearse (1962), e di aver vissuto un’infanzia e un’adolescenza completamente sovrapponibili a quelle di Millar.

Il libro, comunque, andò bene: pare che Millar abbia poi ricevuto dall’editore una percentuale sulle vendite di circa centomila dollari, e che questa sicurezza finanziaria, oltre all’avanzare della malattia, lo abbia definitivamente dissuaso dallo scrivere ancora. Un nuovo romanzo era stato iniziato nel 1977, ma fu rapidamente abbandonato. Nell’ottobre 1977 Millar iniziò una terapia psichiatrica, che nelle sue speranze avrebbe dovuto consentirgli di riacquistare un certo equilibrio, così da fargli completare la sceneggiatura per la riduzione cinematografica del suo romanzo The Instant Enemy (1968), che gli era stata commissionata l’anno prima.

Nel 1980 Warren Zevon dedicò il suo nuovo disco, Bad Luck Streak in Dancing School, «For Ken Millar, il migliore fabbro», ispirandosi direttamente a T.S. Eliot (e, va da sé, a Dante). Il successo di The Blue Hammer (ottocentomila copie in edizione economica, oltre a quelle dell’edizione rilegata) spinse infine Knopf a firmare con Millar un contratto per un nuovo romanzo che doveva essere consegnato entro il primo dicembre 1981. Millar sapeva già, comunque, che non ne sarebbe stato capace.

LC