Del primo romanzo che ho tradotto per Einaudi, nell’ormai lontano 2001, potete vedere la copertina qui sopra. Ma difficilmente riuscirete a procurarvelo, adesso, fuori catalogo com’è da tempo (meriterebbe, in effetti, una ristampa, ma non dipende da me). Perché, allora, stamattina mi sono arrampicato sugli scaffali di casa – impresa, questa, ad altissimo rischio, una vera palestra d’ardimento come quella del Gruppo T.N.T – per rintracciarne una copia (scoprendo, con una certa sorpresa, di averne ben due)? Perché negli ultimi giorni mi è capitato di leggere delle notiziole di un certo interesse che spingerebbero a consigliarvi, se solo poteste farlo, la rilettura dell’apocalittico noir di Winter.
Da un lato, la dichiarazione di Gianni Alemanno che – presumo – nella sua veste istituzionale di sindaco di Roma ha ritenuto opportuno stigmatizzare una presunta e nefasta influenza dei media sugli adolescenti, puntando soprattutto il dito sulla fiction Romanzo Criminale; che, a suo dire, finirebbe per idealizzare la violenza e proporre ai giovani una serie di role models esclusivamente delinquenziali, mitizzando addirittura l’uso delle armi.
Dall’altro, la recente intervista rilasciata dal presidente del consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, Edouard Ballaman, nella quale costui ha estratto – in presenza del giornalista che gli poneva le domande – una Smith & Wesson .357 Magnum e l’ha piazzata sulla scrivania. «E’ per difesa personale,» ha poi chiosato l’ex questore della Camera davanti allo stupore del giornalista, dichiarando di possedere regolare porto d’armi (meno male) e di essere stato invitato ad armarsi nientemeno che dalla Digos, a causa di non meglio precisate minacce di morte da parte di certi fondamentalisti islamici e della sua amicizia con Pim Fortuyn e Theo van Gogh, il politico e il regista olandesi assassinati negli scorsi anni. «Però la tengo chiusa in un armadio dell’ufficio,» ha concluso, lasciando – a me, perlomeno – un certo dubbio sulle capacità deterrenti e di autodifesa di un’arma tenuta sottochiave.
La terza cosa che mi ha spinto a scrivere questo post è il notevole pezzo apparso qualche giorno fa su uno dei miei blog preferiti, talk is cheap, il cui titolare – che la sa lunga – ha parlato diffusamente di un libro di grande interesse come Kalashnikov, il fucile del popolo, scritto da Michael Hodges e pubblicato da Tropea.
Il sottoscritto, che non sfiora il grilletto di un’arma (e che arma!) dal lontano 1986, durante il servizio militare in quel di Salerno, quando pur di non fargli ripetere le sue grottesche performance al poligono di tiro l’avevano spedito a suonare le tastiere alle serate danzanti del circolo ufficiali, il sottoscritto – dicevo – si è paradossalmente ritrovato nell’ultimo decennio, malgré lui, a doversi fare una notevole cultura nel settore a forza di tradurre carrettate di noir e persino di western. E, fosse vero quel che dice Alemanno, a quest’ora dovrebbe girare per la strada, come scrive Elmore Leonard in Hot Kid, «con due automatiche calibro 45 infilate in due fondine legate alle gambe con corregge di cuoio.»
Comunque, dai meandri del sito Einaudi ho ripescato anche un’intervista che feci, all’uscita di Corri!, proprio a Douglas Winter, e che potete leggere qui. Il buon Douglas, che è uno dei massimi esperti mondiali di horror e che a suo tempo sembrava promettere – per l’appunto – fuoco e fiamme, da allora non ha più pubblicato niente e oggi fa in prevalenza il musicista. D’altra parte non scriveva certo per vivere, essendo all’epoca uno dei più grossi avvocati americani, specializzato in disastri aerei e relative cause milionarie.
Insomma,è sempre Lawyers, Guns and Money, come diceva l’unico e solo Warren Zevon.